ANALISI SEMIOLOGICO-STRUTTURALE DELLA POESIA PASCOLIANA

“IL GELSOMINO NOTTURNO”.

di Francesca Di Nicola

 

La poesia fa parte della raccolta “Canti di Castelvecchio” che, insieme a “Myricae”, può essere considerata come il frutto più maturo dell’arte di Pascoli, sia sul piano delle tematiche (la vita nei campi, il triangolo nido – casa – culla, l’infanzia, il rifiuto dell’impegno e della responsabilità della vita adulta, uccelli, fiori, campane, il ricordo dei morti), sia su quello stilistico per una continua apertura allo sperimentalismo linguistico. Nei Canti, tuttavia, emergono stati d’animo più sottili, malinconie, desideri inappagati e una dolcezza triste connessa al sentimento doloroso di impossibile felicità. Anche in questa raccolta, come in Myricae, il realismo impressionistico delle rappresentazioni paesaggistiche attraverso pochi tratti immediati è solo apparente: l’insistenza su alcuni elementi e la completa mancanza di altri denotano un iper–realismo che diventa simbolismo. Nei Canti i significanti simbolici sono meno immediati che nella raccolta precedente e si evincono da una serie di corrispondenze, parallelismi e contrasti che legano immagini diverse.

Il “gelsomino notturno” si inserisce perfettamente in questo ambito e può essere considerata uno dei massimi esempi di poesia in cui la costruzione formale è funzionale alla resa del contenuto e del messaggio simbolico.

E’ di fondamentale importanza, in particolare, il livello metrico – ritmico, in quanto la poesia solo apparentemente è costituita da sei quartine di novenari, legati dalla rima alternata. In realtà è possibile dividere ogni quartina in due coppie di versi che appaiono separate nel loro alternarsi ritmico. I primi due novenari sono dattilici e la particolare disposizione degli accenti sulla II, V e VIII sillaba (- /+ - - /+ - - /+ -) determina un ritmo ascendente e incalzante contrapposto a quello discendente, pacato e cadenzato della seconda coppia di novenari trocaici (con accenti sulla I, III, V e VIII sillaba + -/+ -/+ -/ - /+ -). Il componimento è, inoltre, uno straordinario esempio di perfetta armonia fra andamento metrico e sintattico, configurandosi pertanto come eccezione nell’ambito della produzione pascoliana. La stessa punteggiatura, infatti, evidenzia delle unità sintattiche, periodi separati e compiuti che si inseriscono perfettamente nella ripartizione ritmica in coppie di novenari. L’unica eccezione, non casuale, che rompe questa perfetta regolarità è rappresentata dall’ultima quartina in cui intervengono turbamenti di vario genere.

Tra il verso 21 e 22 è presente la figura metrica dell’episinalefe (unione dell’ultima sillaba di un verso con quello iniziale del verso successivo), che nasconde la rima tra “petali” e “segreta” e tende a creare un legame tra i due novenari, accelerando per un attimo il ritmo, là dove questo si interrompe bruscamente con le pause marcate nel verso 21 e 22 dei due punti e del punto e virgola (“l’alba:”, “gualciti;”). Sempre nell’ultima strofa si ha un netto contrasto fra l’accento grammaticale di felicità e quello metrico sdrucciolo imposto dal ritmo. E’ possibile individuare nel testo alcune figure foniche che, insieme alla rima, contribuiscono a creare una certa musicalità: si tratta di un sapiente gioco di assonanze, consonanze, allitterazioni, onomatopee (“bisbiglio”, “sussurra”, “pigolio”) nello scopo di riprodurre sensazioni uditive che si affiancano a quelle visive (“lume”, “rosse”) e olfattive (“l’odore del fiore”). In tal senso è significativa anche la sinestesia “l’odore di fragole rosse” che, unendo la sensazione olfattiva a quella visiva nella stessa espressione, evidenzia la presenza di fitte relazioni nella natura che coinvolgono l’uomo in maniera totale.

La poesia sembra proprio configurarsi come un susseguirsi di immagini e sensazioni disordinate e casuali che si riferiscono all’atmosfera notturna e al fiore, come indicato dal titolo. In realtà queste immagini si connettono l’un l’altra attraverso una serie di corrispondenze e danno vita a nuclei tematici e simbolici che ci permettono di capire perché si tratta di un epitalamio e di intendere il senso della nota al Briganti.

Nella prima strofa appare subito il fiore, qui collegato con la notte e con le manifestazioni di vita (“s’aprono”, “sono apparse”). Nella seconda strofa sono rintracciabili tre figure di significato: due metonimie (la “casa” sta per coppia e i “nidi” per nidiate) e una similitudine evidenziata dal chiasmo (“sotto l’ali…i nidi/come gli occhi sotto le ciglia”). E’ presente l’immagine della casa nella sua connotazione positiva di nido – nucleo familiare, IN protetto e sicuro che si contrappone all’ES negativo dell’ambiente circostante, dominato dalla violenza e dalla tensione (“gridi”), ma anche, in fondo, da amore e complementarità appagata: nidiate e occhi che dormono protetti. Già da questa strofa, tuttavia, è rintracciabile l’ambiguità del linguaggio poetico. I bisbigli della coppia si riferiscono alle loro effusioni amorose e l’immagine della casa si arricchisce di connotazioni erotiche che fanno nascere in Pascoli il bisogno di “straniamento”, di una presa di distanza sottolineata dal deittico “là”.

Nella strofa successiva si incomincia a delineare l’opposizione simbolica VITA vs MORTE, EROS vs THANATOS attraverso le immagini del “calice aperto” del fiore, delle “fragole rosse”, (entrambe metafore dell’organo sessuale femminile) e delle “fosse” (tombe),evocate all’ultimo verso. Il fiore porta al massimo la sua vitalità aprendo il suo calice ed emanando il suo profumo, ma nel momento stesso in cui questa si collega con la sessualità, richiama l’idea della morte.

Per la seconda volta il poeta si riferisce alla casa, al lume, apparentemente simbolo dell’intimità raccolta della famiglia. Per la seconda volta l’immagine si ripresenta alla sua mente, ma subito tenta di rimuoverla quasi spaventato, cambiando discorso.

Nella quarta strofa, dopo la metafora dell’ape che trova la sua cella occupata, (allusione all’esclusione del poeta dal sesso), vi sono due analogie  ”aria azzurra” e “piglio di stelle”. La seconda, in particolare, è una catacresi, ovvero uno scambio di sensi, vista – udito, sulla base del tratto comune del tremolio (la luce) e dell’intermittenza (il verso dei pulcini). La poesia continua con una corrispondenza, sottolineata dalla ripetizione della parola “passa”, fra l’odore del fiore che attraversa la notte e il lume nella casa che sale dal piano terra al primo piano, dove si trascorrerà la prima notte di nozze. I verbi, in una sorta di inno alla vita e al sesso, sembrano susseguirsi in un crescendo (“passa”, “brilla”) che, però, viene subito troncato (“s’è spento”), nel tentativo disperato del poeta di allontanare l’immagine erotica, che pure lo affascina, censurandola con i puntini di sospensione.

L’ultima quartina, infine, è di fondamentale importanza, chiude l’intero discorso e chiarisce definitivamente il messaggio globale, ribadendo i rapporti e i contrasti simbolici già accennati. Si capisce, dunque, la sua eccentricità metrico – prosodica, la mancata armonia fra ritmo sintattico e ritmo metrico, che tende a differenziarla dal resto della poesia. E’ sottolineato ancora il rapporto fiore – vita, in quanto il gelsomino, fecondato dagli insetti genera vita durante la notte, e quello fiore – sesso con la sua valenza negativa, che reca implicita l’idea di violenza e profanazione (“petali gualciti”). L’eros – passione, dunque, produce la vita, ma si connette anche con la morte come indica “l’urna”, termine funebre metafora dell’ovario del fiore e, allusivamente, dell’utero della donna.

Nell’ultima quartina compare l’io – poetico attraverso il verbo in prima persona “non so” e si manifesta al massimo il suo coinvolgimento psicologico ed emotivo. L’autore, infatti, nell’affrontare un aspetto intimo, ma non sufficientemente consapevole della sua personalità (l’amore – sesso) manifesta il suo atteggiamento ambivalente e contraddittorio nei confronti di esso. Tale rapporto si esplica nella poesia in tre momenti: all’inizio c’è il contrasto fra i fiori (vitalmente attivi) e il poeta (meno vitale, che pensa e non agisce), in un secondo momento c’è l’esclusione dell’autore dal rapporto amoroso (attraverso la metafora dell’ape); alla fine viene fuori la totale estraneità di Pascoli (“non so”) all’amore, visto come un’emozione profonda e ignota.

E’ questa la tematica profonda della poesia, che ci rimanda all’elemento autobiografico di un Pascoli, il quale , nella sua vita, si autoesclude dell’esperienza amorosa, caratterizzata da un fascino dolce e misterioso. Nel”gelsomino notturno” il poeta non riesce a liberarsi del suo passato di estraneità all’amore – sesso, però sente verso di esso una curiosità, un’attrazione, appena contraddette dalla frustrazione e dalla paura per la violenza, profanazione e morte con esso collegate.

Tutto ciò si inserisce perfettamente nel pensiero di Pascoli e nella sua più intima convinzione della necessità di una fuga dalla vita reale, di un rifiuto dell’impegno, della responsabilità e delle esperienze che essa implica, dell’esigenza di ricercare una dimensione circoscritta al di là del tempo e dello spazio. Il poeta, profondamente, pessimista, considera, infatti l’universo come un ES ostile e ignoto, inconoscibile e impenetrabile dall’uomo, dominato dal dolore e dalla sofferenza. L’unico contesto sociale in cui l’individuo può trovare un rifugio sicuro e protetto è la famiglia, sede degli affetti autentici, della solidarietà e dell’amore. La famiglia, però, è quella in cui si è figli e non genitori e l’amore è quello materno o paterno. Ecco perché l’EROS della poesia ha una valenza essenzialmente negativa, caratterizzandosi come sesso e passione. Ne deriva l’esaltazione dell’infanzia come un’età spensierata e felice, inconsapevole del male nel mondo, che da adulti può essere recuperata solo attraverso il ricordo e il rifiuto della vita matura, nel tentativo utopico di proiettarsi in una dimensione aspaziale e atemporale.

La visione negativa della vita da parte del poeta si connette, inoltre, con la sua sfiducia tutta decadente, nelle capacità conoscitive dell’uomo. L’arte e in particolare la poesia, linguaggio “totale”, è l’unico strumento che consente all’uomo di uscire dal suo guscio e, attraverso l’intuizione, di stabilire dei contatti fugaci con l’Essere. La realtà, dunque, si manifesta come una serie di aspetti irrelati, privi di connessioni, in una logica essenzialmente arazionale. Tale mancanza di razionalità è ciò che il poeta tenta di trasportare anche sul piano stilistico e del linguaggio, attraverso uno sperimentalismo continuo.

Nella poesia esso si manifesta nell’uso massiccio di simboli, corrispondenze, parallelismi, opposizioni che legano le immagini in maniera articolata e complessa.

   

 

 

 

 

 

Di Nicola Francesca VA